lunedì 30 aprile 2012

Rivoluzione o rassegnazione?

Ho trovato in giro per la rete una tabellina che mi ha sconvolto, ed è la seguente:



E' incredibile. Non sono certo un esperto di economia, ma in effetti mi ricordo quando mi bastavano 45€ per un pieno, mentre adesso ce ne vanno circa 75€. E stiamo parlando solo di 3 anni fa!!!
L'unica cosa davvero certa è che il mio stipendio non è variato da tre anni a questa parte. In realtà non è variato da 5 anni a questa parte (e 5 anni fa è il momento in cui ho cambiato azienda, altrimenti sarei andato ulteriormente a ritroso).

Io non saprei prevedere per quanto tempo reggerà questa situazione. Per pura curiosità ho provato ad effettuare la seguente ricerca su Facebook: "rivoluzione Italia". Beh... non sono riuscito a contare tutti i gruppi che incitano alla rivoluzione. Provate.

La gente è stanca. Non ce la fa più. E la gente, ormai, comunica. Non so se siamo davvero alla vigilia di una vera e propria "rivoluzione"... un nuovo '68... Ma una cosa è certa: gli strumenti per comunicare e per organizzarsi, oggi, non sono neanche lontanamente confrontabili con quelli presenti verso la fine degli anni '60. Forse gli italiani sono un po' più stanchi di allora. Forse mancano leader. Forse non si sa più con chi prendersela.

E la rassegnazione collettiva, a mio parere, fa molta più paura di una ipotetica rivoluzione...

domenica 29 aprile 2012

Introspezione...

Ho iniziato il blog con il tipico approccio del "tuttologo". Ma non è questo il mio vero intento.
Non mi interessa commentare gli eventi di cronaca per scatenare dibattiti e confronti. Non farò il solito provocatore che dice cose impopolari per suscitare l'interesse altrui. E neppure il qualunquista che dice cose scontate per ricevere approvazioni e conferme. La maggior parte dei blog sono così. E lo ammetto: alcuni di loro sono davvero divertenti ed efficaci proprio perché usano queste formule.

Ho aperto questo blog solo ed esclusivamente per "fissare" alcune idee che passano per la mia testa. Fissarle sui post ed ogni tanto rileggerli. Fra qualche tempo, probabilmente, mi verrà da sorridere rileggendo i post che ho scritto. Speriamo. :-)

Ho provato a cercare in giro la traduzione del comune modo di dire "Chiudersi a riccio", ed ho trovato la seguente definizione: "trincerarsi in un silenzio impenetrabile". Bella. Mi piace. Rende l'idea. Perfetta.

Spesso mi sono sentito dire: "Non ti devi chiudere a riccio!". Sì, lo ammetto: fa parte del mio terrificante carattere. Chi mi conosce lo sa. Chi mi conosce sa quanto fatichi a non "chiudermi a riccio". Ci combatto tutti i giorni. Se solo non intervenisse la mia parte razionale, sarei almeno 12 ore al giorno come il simpatico animaletto nella foto. Immobile. Ma sereno. Perché se qualcuno si volesse avvicinare... si pungerebbe. E questo mi permette di poter riflettere in santa pace e senza influenze esterne.

Questa mia... "caratteristica"... mi ha spesso penalizzato. Ho perso molte amicizie per questo motivo. Soprattutto per gli equivoci che inesorabilmente vengono a crearsi. Ma ne ho anche acquisite di importanti. E' difficile starmi accanto. E' difficile rimanermi amico. Perché è difficile capire il motivo dei miei comportamenti che mutano in modo repentino. Io sono così. Purtroppo. E per quanto lavori costantemente su me stesso... non riuscirò mai a cambiare questo aspetto del mio carattere. Quando sento il bisogno di riflettere... nel bene o nel male... nei momenti buoni o nei momenti meno buoni... mi chiudo a riccio. E basta.

Questo post ha il sapore "dell'autodenuncia". :-) E lo dedico a tutte quelle persone che vedono in me un enorme punto interrogativo. Comprese le persone che mi stanno moooolto vicino.

venerdì 27 aprile 2012

Il ritorno dell'orco


E ci risiamo.

L'ennesimo ed insopportabile omicidio passionale.

Di nuovo l'orco che si porta via, questa volta, un angelo di 20 anni. E di nuovo quel senso di rabbia collettiva che ci rende orchi tra gli orchi. "Ce l'avessimo tra le mani quel bastardo...". Chiunque l'ha pensato.

Perché tutta questa violenza? Perché l'uomo non è più in grado di gestire una relazione che finisce?
Oggi si parla tanto di stalking, ed esperti affermano che le cause di questo comportamento siano da attribuire al fatto che l'uomo non abbia ancora del tutto "metabolizzato" l'emancipazione femminile.

Da uomo che ha vissuto direttamente l'interruzione di una relazione consolidata e durata parecchio tempo, posso confermare che l'elemento debole in queste situazioni è molto spesso l'uomo. E i fatti lo dimostrano.

Ma la violenza, a mio parere, non può essere diretta conseguenza dalla disperazione nel vedere terminato il rapporto che ci ha tenuti legati ad un'altra persona. Io non posso credere che un non-violento per natura possa arrivare ad uccidere in preda ad un improvviso raptus. E ad uccidere la persona che ha amato o cha ama ancora.

Possiamo andare avanti per l'eternità a discutere su temi come l'emancipazione femminile, il ruolo dell'uomo e della donna nella società odierna, la violenza nei confronti delle donne... Questi problemi vanno risolti alla radice: dall'educazione che arriva dalle scuole e dall'interno delle mura domestiche.

E la mia sensazione è che un tempo la scuola fosse l'elemento fondamentale per l'educazione infantile... ma solo perché alle spalle c'erano nuclei familiari solidi ed attenti all'educazione dei propri figli. E' inutile prendersela con gli insegnanti. Io avevo rispetto per la mia maestra e con tutti noi era autorevole, se non addirittura autoritaria. Perché era anche un'educatrice: se sbagliavamo, ci sgridava. Ma poteva farlo. Perché gli alunni che seguiva la rispettavano. E questo grazie alle famiglie di quei bambini che sono riusciti a trasmettere loro l'importanza di quella figura.

I bambini di oggi sono oramai dei mini-adulti che vivono quotidianamente lo stesso identico stress che vivono i genitori. Ma non hanno ancora le forze per poter sopportare quel tipo di stress da soli. Oggi i problemi nascono all'interno delle mura domestiche, dove non c'è più "tempo" per dialogare e non si è più in grado di correggere quei piccoli errori che tutti ci troviamo a dover affrontare durante la nostra crescita. Quei piccoli errori che genereranno individui insicuri, repressi e violenti... tanto da arrivare a rubare la giovane... troppo giovane vita di Vanessa.

mercoledì 25 aprile 2012

Sociale o non sociale?


Vabbè... quello precedente non era il mio primo ed ultimo post.

Mi sono imbattuto nella lettura di un articolo, scritto da David Rowan.

Non sono originale, perché su altri blog potete trovare svariati commenti e discussioni riferiti a questo articolo, che potete trovare al seguente indirizzo: http://www.wired.com/epicenter/2010/09/six-reasons-why-wired-uks-editor-isnt-on-facebook/

(Tra l'altro... l'immagine che rappresenta questo post e che ho trovato in giro per la rete... la trovo FANTASTICA!)

Il titolo dice già tutto: "Six Reasons Why I’m Not On Facebook".
E' pieno di spunti interessanti e non si tratta dell'ennismo pseudo-intellettuale che cerca di opporsi a nuove mode. Forse un po' "superato", dato che è stato scritto nel Settembre 2010 quando le regole sulla privacy di Facebook erano un po' diverse da quelle presenti oggi.
Già... privacy. Tutto ruota intorno a questa parola. Sembra un paradosso: viene messo a disposizione della gente uno strumento per condividere pensieri ed eventi della propria vita. E la gente impazzisce ("People screw up, and give away more than they realise"). Finalmente può aprire una vetrina sul mondo e sente il fortissimo desiderio di condivisione.

Condivisione e Privacy. Due elementi contrapposti. E' stato difficile infatti da parte di legali e tecnici Facebook stabilizzare il processo di gestione della privacy. Molto difficile. E nei vari passaggi sono stati fatti anche disastri. Ricordo ancora quando metà degli utenti si sono ritrovati istantaneamente la bacheca con visibilità pubblica. Ah come lo ricordo bene. :)

Ma fa parte del gioco. Su un social non si dovrebbe neanche parlare di privacy. Per la natura del social.
Apprezzo persone come David Rowan che, piuttosto, rinunciano ad entrare a fare parte del mondo della "condivisione". Tutto legittimo. Ma è assurdo che una persona che decida in autonomia di mettere in rete le foto dei propri momenti di vita o di comunicare al mondo che sta andando in bagno... che si faccia tante seghe mentali sulla questione privacy. Questa è la mia modestissima opinione.

Sta di fatto che Mark Zuckerberg ha cambiato il mondo. Nel bene o nel male. Ma l'ha cambiato.
E riporto alcune sue parole durante un'intervista: "Bisogna capire che le cose sono molto cambiate negli ultimi sei anni. E che il concetto di privacy che ho io non è lo stesso che ha mio padre ed è diverso anche da quello di una ragazzo di quattordici anni. Sei anni fa nessuno voleva che le proprie informazioni personali fossero sul web, oggi il numero delle persone che rende disponibile il proprio cellulare su Facebook è impressionante. Per i miei genitori la privacy era un valore, per i miei coetanei condividere è un valore. Per noi i controlli sulla privacy sono sempre stati importanti, fin dall'inizio, se abbiamo commesso quale errore lo abbiamo immediatamente corretto. Il dialogo con i nostri utenti è fondamentale, quello che è accaduto è che la gente ha posto delle domande giuste e che noi abbiamo raccolto il loro feedback rendendo tutto più semplice e comprensibile".

E non ha inventato niente. Ha solo posto alle persone una domanda: "privacy o condivisione"? E la gente sembra aver scelto, con entusiasmo, la seconda opzione.

AndyBlogger??? Naaaa....

Io non so a cosa possa servirmi un blog.
Molto probabilmente questo sarà il primo e ultimo post.
Non so scrivere. 
Ho poca fantasia. 
Non sento di dover dire niente a nessuno.
Questo frenetico bisogno di comunicare sta diventando esageratamente eccessivo. Tutti sentono la necessità di "dire" e di raccontarsi... e siamo "all'effetto stadio": se tutti parlano insieme non si sente niente... se non un rumore di fondo. E nessuno è in grado di capire cosa stiano dicendo le persone.
In quello stadio, probabilmente, qualcuno sta dicendo qualcosa di importante. Ma nessuno è in grado di ascoltarlo.


Facciamo così: entro nello stadio e inizio a parlare pure io. E se per qualche miracolo ci sarà un momento di silenzio...


.......... rimarrò anche io in silenzio.